martedì 23 febbraio 2021

Intervista ad Annamaria Costa


Abbiamo intervistato la professoressa Annamaria Costa del Dipartimento di Scienze Veterinarie per la Salute, la Produzione Animale e la Sicurezza Alimentare dell’Università degli Studi di Milano che, all’interno del progetto ImpollinAzione Urbana, sviluppato con il Movimento per la lotta contro la fame del mondo di Lodi e finanziato dalla Fondazione Cariplo, segue le attività delle api “sentinelle”, ovvero come indicatori della qualità dell’aria che respiriamo e dell’ambiente in cui viviamo.

Perché sono così importanti le api?


Le api sono responsabili della sopravvivenza e del perpetrarsi della vita vegetale perché non ci sarebbero frutti senza gli impollinatori. Il cosiddetto CCD (colony collapse disorder, sindrome dello spopolamento degli alveari) che in larga parte è imputabile all’uso dei pesticidi che incide parecchio sulla vitalità delle api, in particolare sul loro sistema immunitario. Nell’arco dei quaranta giorni della loro vita, le api operaie viaggiano in continuazione per rifornire l’alveare di nutrimenti, ovvero il miele e la propoli e se vanno in giro succhiando tutto il polline che trovano. Questo lavoro, che ormai è stato descritto da un’ampia letteratura scientifica, si svolge nel raggio di due o tre chilometri se l’ambito della ricerca è ricco di biodiversità, mentre in presenza di ambienti limitati, come le colture intensive di granoturco, le api sono capaci di spingersi fino a sette, otto chilometri e, come è facile intuire, volando tendono a sporcarsi con gli inquinanti, che non sono solo nell’aria, ma anche nell’acqua, perché anche le api devono bere.


Quanto è determinante il fattore dell’inquinamento atmosferico?


Dell’uso maldestro dei pesticidi, abbiamo già detto. Parliamo di metalli pesanti, piombo e cadmio. Il primo deriva dai processi di combustione antropici, in particolare dalle caldaie, mentre è sensibilmente migliorato con il passaggio dalla benzina normale a quella verde. Ci sono poi situazione anomale, dovute alla presenza di industrie. Nenad M. Zarić, un ricercatore dell’Università di Belgrado, ha verificato in un ampio studio che api allevate nei pressi di una centrale termica, durante il fermo per la revisione degli impianti, abbiano accumulato meno cadmio, per le ridotte emissioni e per il miglioramento della qualità dell'aria. Credo sia ormai evidente che ci deve essere un certo impegno e una certa sensibilità verso il benessere degli animali impollinatori perché con la loro estinzione rischiamo di non avere più fiori e frutti e, in buona sostanza, non mangiamo più.


Come agiscono gli elementi inquinanti sulla vita delle api?


I metalli pesanti hanno diverse dinamiche sul corpo delle api. Ci sono venticinque diversi metalli pesanti, tra cui piombo, cadmio, selenio che agiscono sia sulla parte esterna delle api, il tegumento, le ali e le zampe, sia all’interno, che possono agire abbassando i livelli del sistema immunitario. Così l’ape vola meno, diminuiscono le attività e la diretta conseguenza di un sistema immunitario limitato sia l’insorgere di altre patologie che mettono a rischio l’alveare. Questo è un rischio concreto, anche se poi in genere l’alveare resta una zona felice, perché all’interno, il miele e la cera restano sempre puliti. Questo l’abbiamo già verificato in una prima prova con una alveare in Triennale,  e di seguito con cinque apiari posti in zone urbane particolarmente trafficate di Milano (Linate, Orti di via Padova e nella zona del mercato ittico), a Magenta e nel Lodigiano, che ci hanno permesso, una volta di più, di valorizzare le api come perfetti indicatori della qualità dell’aria nell’atmosfera.


Come nasce quest’idea delle api come “sentinelle” dell’ambiente?


Ormai ci sono tonnellate di lavori che spiegano come le api siano degli ottimi indicatori ambientali. Tra i primi, ricordo che è stato Giorgio Celli, professore dell’Università di Bologna, a intuirne le potenzialità. Noi verifichiamo gli effetti dei metalli pesanti, che si depositano sul corpo dell'ape in maniera proporzionale alla concentrazione atmosferica. Se la loro presenza è contenuta, non c’è da preoccuparsi, ma se aumentano le concentrazioni di contaminanti, vuol dire che siamo in presenza di un forte inquinamento ambientale.


Sono alternative alle normali centraline di rilevamento?


Sono alternative e complementari. Le centraline funzionano attraverso una pompa di aspirazione che aspira l’aria in un condotto e poi verso un filtro dove viene raccolto il PM 10. Sono strumenti costosi e il loro posizionamento è limitato. Le api sono uno mezzo di monitoraggio ambientale non contaminante e possono essere disposte senza problemi dove non ci sono centraline. Noi le posizioneremo nella Città delle api a Rossate di Lavagna in una location già più agreste e poi a SanFereorto, in un’area urbana di Lodi molto densa, visto che lì accanto passa anche la ferrovia. Distribuiremo anche i sacchetti di muschio per comparazione (i sacchetti di muschio funzionano come accumulatori degli stessi metalli pesanti atmosferici circa 26, non più solo cadmio e piombo, che cercheremo sulle api) e verificheremo, su tre tornate di api nell’arco di 28 mesi i dati che rileveremo all’esterno e all’interno dei loro corpi. Doteremo le arnie Top Bar di sistemi di monitoraggio e sensori, tra cui una bilancia per vedere se il peso complessivo cala e un contavoli per ottenere un indice dell’attività, anche rispetto alle condizioni meteorologiche. Oltre ai metalli pesanti, controlleremo il PM10 e le polveri in generale, che in realtà sono il veicolo che solitamente funziona da trasportatore di gas, virus, batteri, endotossine o altre molecole. Così, avremo un’immagine chiara del benessere delle api, e anche un’idea delle variazioni ambientali nell’arco di due anni.


Cosa ci insegnano le api?


Le api sono grandi insegnanti perché con pochi gesti ci fanno capire l’ordine, il rispetto per l’ambiente e poi, più di tutto, lavorano insieme per il bene comune, senza eccezione.

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