Emanuele De Francesco, autore, musicista, cantautore, protagonista di album dalla spiccata e raffinata sensibilità come In quieta mente (2011) o Lettere al neon (2019) offre una sua particolare e dettagliata visione di La terra di tutti.
La classe dove facevo lezione alle scuole elementari era a livello del giardino. Intorno c’erano un grande prato e gli alberi. Un giorno, ricordo, fui attratto da qualcosa che si muoveva tra i rami, in una pianta vicino. Era un pulcino. Appena uscito dal nido. Subito la nostra maestra aprì una porta finestra e, usciti fuori con lei, ci radunammo tutti sotto l’albero come attratti da un incantesimo. Ricordo bene quel senso di magia. Ci disse: “Sono le stagioni ragazzi. Potremo cambiare noi, ma loro no. Sono come un orologio. Ricordatelo e rispettate la natura”.
Ecco il libro, di Marco Denti è, per me, un ritorno a quella magia, alla fiaba che accompagna l’adolescenza quando, per la prima volta, si ascoltano profumi e si immagazzinano sensazioni che restano dentro perché vere, genuine, nuove e squassanti nel loro dispiegarsi iniziale. Facendo tesoro dell’esperienza maturata con la comunità degli orti del Pellicano, La terra di tutti viaggia proprio in questa direzione, verso la (ri)scoperta di sensazioni dimenticate attraverso il confronto con la natura, confronto fatto di lunghe passeggiate, escursioni, dialoghi interiori con il vento, la pioggia, gli alberi, dove l’uomo e la natura si parlano attraverso il silenzio che aleggia nel ritrovamento di quello che abbiamo visto, attraversato, vissuto.
Da questo percorso scaturiscono riflessioni che partono da un approccio diverso, basato sulla volontà di osservare la realtà circostante con occhi più lucidi, scevri dalla quotidianità soffocante ed urticante di oggi, convulsa, frenetica e spesso disturbante. Animato da un acuto senso civico e dal desiderio di trovare un proprio spazio di osservazione quanto più personale possibile, Marco Denti, esulando da qualsiasi vis polemica, o enfasi ambientalista, semplicemente ci racconta, con l’ausilio di preziosi riferimenti musicali, che i luoghi in cui siamo cresciuti, i fiumi che abbiamo visto, provato ad attraversare, il rumore dell’acqua che scorre nei ruscelli la domenica, il mistero e la percezione di un tempo diverso che si percepisce negli orti, fenomeno primordiale di economia circolare, non ce li siamo dimenticati, solo non abbiamo più guardato, ascoltato, cercato con la stessa incoscienza o innocenza passata.
Eppure, è tutto ancora lì. I cigni al fiume con la loro bellezza ieratica, i caprioli diffidenti che fuggono all’incontro dell’uomo, le lepri, i ricci, i corvi, quei luoghi baciati da tramonti che ogni volta ci stregano e fanno meditare, tutti quei paesaggi più e più volte attraversati, sono lì. Con la loro memoria cui attingere. Con la loro magia e inviolabilità, alla quale non vogliamo rassegnarci. Non solo attendono di essere visti con luce nuova. Ci permettono di meglio relazionarsi con noi stessi ed il nostro vissuto, adottando un atteggiamento più consono a quanto la stessa terra ci insegna: guardare più verso il basso, inteso dentro noi stessi, rispettando il legame con la stessa superficie su cui poggiamo ogni giorno i nostri, spesso incauti, passi. Bello. Commovente. Magico.
Nessun commento:
Posta un commento